Soluzione alla povertà, all’insicurezza alimentare e alle migrazioni in Africa?
Il quinto vertice Unione Africana–Unione Europea (UA-UE) si è svolto il 29 e 30 novembre 2017 ad Abidjan (Costa d’Avorio). In tale occasione, i leader europei ed africani si sono riuniti allo scopo di definire la futura direzione della cooperazione tra i due continenti. È stata infine adottata una dichiarazione congiunta sulle priorità comuni del partenariato, articolata in quattro settori strategici:
1. Opportunità economiche per i giovani: per il continente africano, in cui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni, investire nei giovani è di fondamentale importanza;
2. Pace e sicurezza: assicurare un ambiente pacifico e sicuro, in grado di aumentare il grado di governance e stabilità politica e di creare una crescita sostenibile e inclusiva;
3. Mobilità di studenti, personale, docenti universitari in Africa e gestione collaborativa della migrazione irregolare – rivolgendo particolare attenzione alla situazione libica (in riferimento alla quale è stata adottata una dichiarazione congiunta, che invita a lottare contro il trattamento disumano di migranti e rifugiati e a consegnare gli autori di tali oltraggi alla giustizia);
4. Cooperazione in materia di governance.
Il 15 dicembre si è tenuta presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale l’incontro “Dopo Abidjan, il piano per gli investimenti esteri dell’UE”, che ha preso in considerazione in modo particolare l’insicurezza alimentare e le migrazioni in Africa,
m entre la parte finale dell’incontro si è incentrato sul ruolo del settore privato nei mercati territoriali, il focus della prima parte della mattinata è stato l’esito
Ad aprire la sessione è stato l’intervento del Ministro Luca Maestripieri (Vicario Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo), che ha innanzitutto rimarcato l’importanza del programma di investimenti Europa-Africa sul piano rurale, da sempre settore prioritario per la cooperazione italiana, in linea con l’Agenda 2030, e affrontato durante il vertice di Abidjan.
Mamadou Cissokho, Presidente Onorario del ROPPA (Rete delle Organizzazione di Contadini e Produttori dell’Africa Occidentale), presente ai tavoli di lavoro africani, si è infatti espresso sull’esito del vertice, sottolineando come la scarsa rappresentatività della società civile ad Abidjan abbia di fatto compromesso la rilevanza e la buona riuscita del vertice stesso. “L’Africa, anziché imporsi per far valere le proprie priorità, ha aspettato che fosse l’Europa a porre all’ordine del giorno le sue, nonostante il punto di partenza del vertice dovesse essere costituito dall’Agenda 2063 adottata dall’Unione Africana (UA), dal Programma africano di trasformazione dell’agricoltura per il 2023 e dalle tematiche ambientali sollevate durante la COP21”, sostiene il Presidente del ROPPA.
Cécile Kyenge (Parlamento Europeo) conferma le impressioni di Mamadou tramite un video-intervento, interrogandosi inoltre sul motivo per cui tanti giorni sono trascorsi prima che i leader europei ed africani arrivassero ad una dichiarazione finale congiunta. “Ciò è in parte dovuto al fatto che Unione Europea e Unione Africana si scontrino quotidianamente sulla questione dei diritti umani, spesso ostacolati dai governi africani, impegnati a mantenere in piedi i propri regimi autoritari, e al fatto che i dirigenti africani guardino con sospetto le promesse occidentali”, avanza la Kyenge, “Ad Abidjan sono state poste le basi per un partenariato win-win. Per raggiungerlo, tuttavia, è necessario che ciascun partner metta a disposizione i propri strumenti per ridurre le disuguaglianze e, in questo modo, rendere il partenariato più equo”.
Il tema dell’aumento delle prospettive di lavoro dignitoso per i giovani africani è riconosciuto come prioritario dalle autorità africane ed europee, e ciò necessita di un riorientamento degli investimenti nazionali ed esteri in modo che siano in grado di creare forti impatti sociali e sostenibili.
La seconda sessione ha visto il susseguirsi di interventi dedicati agli investimenti in agricoltura, una delle cinque priorità del Piano per gli Investimenti Esterni dell’Unione Europea (External Investment Plan, EIP). Nora McKeon, esperta di sistemi alimentari, ha esposto ai presenti un approfondimento sul ruolo del settore privato nei mercati territoriali, innanzitutto chiarendo e specificando entrambi i concetti.
* Troppo spesso, infatti, quando si parla di “settore privato” si pensa alle grandi multinazionali. Bisogna tenere conto in realtà di una molteplicità di attori privati, in particolar modo dei piccoli produttori che operano nelle piccole e medie imprese familiari: pur essendo responsabili del 70% del fabbisogno alimentare mondiale, dell’80% delle forniture alimentari in Asia e in Africa sub-Sahariana e del 90% degli investimenti totali in agricoltura, vengono sistematicamente trascurati da fondi e politiche pubbliche. Questo squilibrio di potere risulta soprattutto evidente quando governi e donatori agevolano l’impegno del settore privato nell’agricoltura (attraverso Partnership
Pubblico-Private o meccanismi di blending), considerando i piccoli produttori non come i veri e propri agenti del loro stesso cambiamento, bensì come beneficiari passivi. Nora McKeon invita dunque l’Unione Europea a riadattare, nel modo più coerente possibile, le misure adottate a sostegno del settore privato interno dei paesi in via di sviluppo alle specifiche priorità dei piccoli produttori, riposizionando i diritti e le prerogative di questi ultimi al centro delle politiche comunitarie.
* Relativamente ai mercati, i produttori agricoli partecipano sia a quelli internazionali (più formali), sia a quelli locali (più informali, inclusivi e remunerativi), dove viene scambiata la maggior parte (80%) del cibo consumato nel mondo ad un prezzo controllato dai produttori stessi. Ad oggi, il modus operandi dell’Unione Europea vede l’inserimento dei piccoli produttori nei mercati formali attraverso catene di valore e meccanismi contrattuali. Le problematiche dell’agricoltura a contratto si manifestano, però, nel momento in cui potenti attori economici si rapportano ai piccoli produttori, più deboli, senza fornire un’adeguata protezione attraverso politiche pubbliche e regolamentazioni. In questo caso, il rischio non è solo quello di esacerbare il divario tra contadini più o meno benestanti (infatti, solo un 10-20% di contadini maschi sarebbero in grado di partecipare), ma anche di generare debito e dipendenza da aiuti e mercati esterni, minando così l’autonomia e il controllo delle proprie risorse, elementi su cui si radica il concetto di resilienza.
Tale concetto è stato successivamente definito da Italo Rizzi (direttore di Lvia, Associazione Internazionale Volontari Laici) come “la capacità di un sistema sociale ed economico di assorbire gli shock esterni, reagire al cambiamento, migliorare la consapevolezza e la gestione del rischio mantenendo la propria struttura”, specificando come la resilienza nel contesto agricolo diventi il punto di contatto tra sicurezza e sovranità alimentare, cambiamento climatico e migrazioni. Le raccomandazioni avanzate da Rizzi riguardano la natura
degli investimenti europei che, per agire efficacemente sulla capacità di assorbimento, adattamento e trasformazione delle comunità rurali, non devono basarsi esclusivamente su criteri finanziari, bensì sui principi dello sviluppo sostenibile e dell’efficacia dell’aiuto.
Andrea Stocchiero (responsabile policy e advocacy presso Focsiv) prosegue con alcune valutazioni sui due principali strumenti al centro del dibattito odierno:
* Le Partnership Pubblico-Privato (PPP) – sempre più promosse come meccanismo primario di implementazione di programmi di sviluppo – nonostante, sulla carta, garantiscano la partecipazione di ogni tipo di attore del settore privato ai partenariati, di fatto coinvolgono maggiormente le grandi aziende e agribusiness, interessati primariamente ad ottenere profitti dalle risorse di attori privati, lasciando gli oneri principali ai partner pubblici.
* Riguardo al blending, la Corte dei conti europea ha effettivamente riscontrato un effetto moltiplicatore delle risorse pubbliche tramite l’aumento di investimenti privati. Avendo constatato l’efficacia del blending nel contesto di progetti infrastrutturali in paesi a medio-basso reddito, rimane però un interrogativo: è sufficiente questa garanzia per orientare investimenti privati in contesti fragili, dove operano soprattutto micro e piccole imprese?
É stato infine sottolineato come l’Italia possa porsi come utile riferimento per far crescere la resilienza agro-ecologica e il benessere sociale attraverso investimenti pubblici e privati. In Italia, infatti, il modello economico delle piccole e medie imprese, dell’agricoltura familiare, è quello che più di tutti ha resistito, mettendo insieme territori, comunità ed aziende. Su queste basi, il nostro Paese dovrebbe dunque porsi come “portabandiera” nella definizione di una strategia, di linee guida e di un efficace monitoraggio sul settore privato e sulla finanza nel contesto dei mercati territoriali e dell’agroecologia.
A concludere la sessione, un quesito posto da Mamadou Cissokho rimane aperto: Perché l’importanza del modello familiare e cooperativo di produzione e trasformazione del cibo viene considerato un elemento di orgoglio in Italia, mentre non viene riconosciuta l’importanza che ha sempre avuto in Africa?
Per maggiori informazioni:
– Sito web del quinto vertice UA-UE, 29-30 novembre 2017
– Dichiarazione congiunta, quinto vertice UA-UE
– Dichiarazione congiunta sulla situazione della migrazione in Libia, quinto vertice UA-UE
– Scheda informativa su relazioni UE-Africa
– Policy brief di Concord sul settore privato in agricoltura